Storie

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Quando la salute mentale ci prende

Francesca ci consegna, in queste poche righe, scritte alla vigilia del nuovo anno, un bilancio della sua esperienza nel mondo della salute mentale, al fianco, prevalentemente, dell’associazione “Idee in circolo” e del “Social Point”. A testimonianza che la salute mentale è un bene di tutti, un bene comune, e che il mondo della malattia mentale (quello dei cosiddetti matti), ci aiuta, tutti, a guardare, e a relazionarci, al mondo (e agli altri) con occhi diversi, come Francesca descrive in modo eccellente.

Oggi è il 30 dicembre e mi sono svegliata ripensando a questo 2012 con sensazioni diverse ma forti allo stesso modo. Quest’anno è stato di scoperta,una scoperta di me,di quello che potrei essere e di quello che sono per gli altri. Ho ascoltato storie di vita molto lontane dalla mia,che mi hanno commosso,fatto arrabbiare e sentire frustrata per l’impotenza di fronte ad alcuni disagi. Ma mi hanno fatto sentire anche fortunata,ho 23 anni e ho intorno a me persone meravigliose che mi hanno donato un pezzo di loro con una semplicità unica. Quest’anno ho frequentato posti di cui non conoscevo neanche l’esistenza,come il centro di salute mentale o il reparto di diagnosi e cura,in quei momenti mi sentivo piccola piccola di fronte a così tanta sofferenza. Ringrazio davvero con tutto il cuore chi mi ha “trascinato” in questo mondo e mi ha fatto crescere così tanto in soli dodici mesi. Grazie davvvero a tutti di avermi accolto nella vostra grande famiglia!! Ogni parola,sorriso sono stati semi lasciati nella mia esistenza che stanno sbocciando piano piano. Vi auguro un anno bellissimo,pieno di battaglie vinte e di LIBERTà!!! Vi abbraccio

Francesca

4 gennaio 2013

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Il sogno di Basaglia: l’esperienza di Francesco

Caro Franco ti penso.

Franco Basaglia, mentre seguiva il percorso del suo progetto, che ha avuto nella chiusura dei manicomi il suo passo più emblematicamente significativo, aveva anche un sogno.
Era un sogno un po’ utopico, se per utopia intendiamo l’idealizzazione del migliore dei mondi, ma non vietato anzi, addirittura sempre più necessario, ed era pure possibile sognarlo ad occhi aperti.
La chiusura dei manicomi, infatti, non era lo scopo finale, ma il primo passo di un percorso, attraverso il quale la società avrebbe dovuto e potuto cominciare a confrontarsi con uno dei propri spazi di emarginazione, repressione, violenza e negazione della persona.
Il primo passo, ed in un ambito limitato, quello del disagio mentale, per portare la società a non avere più paura delle diversità che ospita e che, in questa od in altre forme, dovrà sempre ospitare.
Franco voleva che la società arrivasse a riconoscere ed accettare come normale condizione umana quella figura, da sempre rifiutata perché ritenuta inquietante, che era ed è la follia.
Che non venisse più affidato ad una scienza medica, la psichiatria, il compito di trasformarla in malattia per poi eliminarla dal quotidiano sociale, ma che il quotidiano sociale si prendesse carico anche di questa condizione umana, strutturandosi perché ciò fosse reso possibile, e che la psi-chiatria si mettesse alla guida ed al servizio di questo percorso.
Voleva che la chiusura dei manicomi, ed il concomitante percorso di territorializzazione e socia-lizzazione dei servizi, fossero l’occasione per creare un laboratorio di nuove forme di relazioni umane e sociali, inclusive e non emarginanti.
Che nascesse e crescesse una società capace, salvaguardando individualità e soggettività, di diventare sempre più collettività, comunità solidale in grado di soccorrere se stessa nelle sue aree di deprivazione ed emarginazione.
Con un obiettivo primario: restituire a tutti gli esseri umani la dignità di vedersi sempre e comunque riconosciuti prima di tutto come persone.
Mi chiamo Francesco, e sono un cittadino utente dei Servizi di salute mentale.
In realtà è una posizione di rendita, perché il 10 ottobre 2012 sono stato dimesso dal Centro Salute Mentale del Polo Ovest di Modena, e quindi sarei un cittadino ex utente.
Non so se sono guarito, anche perché per esperienza vissuta so che la linea che divide follia e normalità è così sottile e fluida, che penso nessuno possa tracciare un confine preciso, tranne che usando come parametro la capacità di conformarsi all’appunto conformismo sociale.
E per me, che solo pochi giorni fa incontrando la mia amica del cuore che non vedevo da mesi, mi sono preso dell’anarchico nell’anima, diventa un po’ difficile stare in questo parametro.
So però di sicuro che mi sento come se avessi seguito una formazione di 8 anni in depressione maggiore con gravi episodi ricorrenti ed ideazioni suicidarie, e di essermi meritato alla fine la laurea con 110 e lode ed abbraccio accademico.
Questo ho raccontato alla psichiatra, che si è detta d’accordo, mi ha consegnato la laurea, cioè il foglio di dimissioni, e mi ha salutato abbracciandomi intensamente.
Mi piace però presentarmi ancora come cittadino utente perché ho l’assoluta voglia di continuare a frequentare, anche se spero più da volontario che da “malato”, il mondo della salute mentale.
Il fatto è che mi sono sempre più innamorato del sogno di Basaglia, ed ho pensato che potrebbe proprio essere bello vivere il resto della vita spendendomi, nel mio piccolo, per portarlo avanti.
Così ho deciso di trasformare il percorso di malattia e ripresa dalla malattia in percorso di vita. Continuare, nell’accompagnare altri verso la consapevolezza dei propri limiti e fragilità, ma anche delle propria risorse, a confrontarmi con i miei di limiti e fragilità, per poi usare le risorse per individuare e realizzare le strategie vincenti, che mi hanno portato ad essere la persona che sono, e che, in questo momento della mia vita, sono anche molto felice di essere.
Non cambierò il mondo, ma di sicuro continuerò a rendere migliore il mio di mondi, e forse anche quello di qualche altra persona il cui percorso incrocerà il mio.
E sono entrambi risultati più che adeguati per dare dignità e significato ad una vita.
Così caro Franco ti penso, e mi sembra quasi di averti conosciuto da sempre e di avere, da sempre, sognato con te.

Francesco

29 ottobre 2012

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“STELLE DI ROCCIA” a Casa Mariano

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Nel mese di maggio il gruppo trekking “STELLE DI ROCCIA”, di Casalecchio di Reno (gruppo che la nostra Associazione ha conosciuto nel mondo delle “Parole Ritrovate“), ha trascorso alcuni giorni presso la nostra “Casa Mariano” di Palagano.

Così il gruppo si presenta:

“Il gruppo trekking “ STELLE DI ROCCIA” è un gruppo spontaneo…….. Il nostro intendimento è di promuovere il camminare in montagna e nei parchi urbani per il benessere fisico e psichico di persone che si ispirano alla filosofia del fare assieme (utenti, operatori, familiari e volontari che si muovono nell’ambito della salute mentale).
Ognuno è responsabile di se stesso ma con la solidarietà di tutti.
Salvo diversa indicazione, gli operatori partecipano alle escursioni come volontari……Il gruppo è aperto a chiunque desideri condividere il piacere di camminare insieme, di muoversi, di comunicare con gli altri, di rinsaldare conoscenze, di evadere dall’ambiente di vita quotidiano.
Siamo animati dallo spirito del fare assieme tra utenti, operatori, familiari e volontari . Ognuno si impegna con serenità per raggiungere una meta ; costa un po’ di fatica ma è bello poter dire alla fine “ la meta è raggiunta e c’ero anch’io”.

L’esperienza del soggiorno a Casa Mariano è stata riassunta in questa bellissima testimonianza di un membro del gruppo che di seguito riportiamo.

Verde speranza

di Giliola Galvagni

La sveglia suona e mi strappa ad un sonno profondo. Ho bisogno di qualche secondo per capire il perché quel suono sgradevole ha interrotto il mio sonno. Ho puntato la sveglia sulle 4 e 20. Sbalzo dal letto e mi fiondo in bagno: voglio lavarmi prima di chiamare Ugo….. (Continua a leggere)

19 maggio 2012

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Alice Banfi: una storia “sottovuoto

«In dieci anni ho attraversato i luoghi terribili, ingiusti, luoghi che mi avevano trasformata, deformando la mia idea di giusto e sbagliato.

All’inizio di questo percorso mi sentivo sorella di chi soffriva come me e come me viveva ricoverato, a metà strada ero diventata carnefice e contribuivo all’orrore, distruggendo e odiando tutto ciò che incontravo, soffocando il più possibile i sensi di colpa, giustificandomi con la malattia……(Continua a leggere)

[Il 23 marzo scorso Alice Banfi ha presentato a Modena i suoi romanzi “Tanto scappo lo stesso” e “Sottovuoto“: puoi vedere su questo sito il video dell’evento]

5 aprile 2012

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“Il cimitero dei pazzi” a Cadillac sur Garonne
Una ricerca di Francesco Zarzana

“Consideratemi un fallimento del vostro lavoro”: è la lucida accusa che Marguerite B., una ricoverata/detenuta dell’”Istituto pubblico di educazione sorvegliata” di Cadillac sur Garonne (una cittadina a pochi chilometri da Bordeaux), fa alla sua direttrice prima di compiere il gesto estremo con cui metterà fine alla sua esistenza, e che porterà alla chiusura della struttura.

Continua a leggere

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Recovery: una storia


Chi ha conosciuto l’autore di questa “Storia di recovery” solo da alcuni mesi, conosce bene con quanta umana radicalità affronta le questioni che riguardano i vissuti delle persone: la storia raccontata ci consente di comprendere come si è costituita questa cifra, nel racconto del percorso che ha compiuto.
L’esperienza è una bella testimonianza che dal tunnel della depressione si può uscire; e questo sarebbe tanto più possibile se i servizi della salute mentale fossero orientati alla “recovery”, e non succedesse, come è successo per l’autore della storia, che la svolta dipenda dal casuale incontro con uno psichiatra che ha trovato la “chiave” per aprire una porta “chiusa”.

Leggi “Recovery: una storia” di Francesco

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ALDA MERINI: il manicomio nella poesia

Alda Merini, scomparsa qualche giorno fa a Milano, ha trascorso 10 anni di internamento nel manicomio (prima che la legge Basaglia ne decretasse la chiusura). Ha raccontato la sua esperienza manicomiale (anche per lei sconvolgente e devastante, come per tutti quelli che l’hanno vissuta) in “L’altra verità – Storia di una diversa” e “La terra santa”, due delle sue numerose opere.

Spigolando da “L’altra verità – Storia di una diversa”:

…….. “Ricordo il primo giorno che entrai in manicomio. Fin lì non ne avevo mai sentito parlare. Avevo chiesto aiuto a dei neurologi per dei piccoli disturbi, ma non conoscevo questi ghetti. Perché, se avessi saputo una cosa simile, mi sarei certamente uccisa. Ma è incredibile i segni che si avvertono su quelle facce di reclusi, lo schifo che fanno. E poi tu diventi una di loro e fuori nessuno ti riconosce più e tu diventi il protagonista delle metamorfosi kafkiane. Così la mia bellezza si era inghirlandata di follia, ed ora ero Ofelia, perennemente innamorata del vuoto e del silenzio, Ofelia bella che amava e rifiutava Amleto” ………

…….. “L’aver vissuto in un manicomio e l’avere interpretato questo vissuto, non è cosa da tutti; l’esserne poi riusciti, è stata impresa quanto mai difficile in quanto è pericoloso uscire dai meandri della propria inquietudine per addentrarsi nella socialità” ………

……… “Un giorno successe una cosa meravigliosa in manicomio: ci apersero i cancelli, ci dissero che finalmente potevamo uscire. Dio! cosa successe dentro l’anima nostra. Fu uno sciamare di vestaglie azzurre verso l’alba. E mi venne in mente, anzi ebbi la visione di santa Teresina che amava definirsi “piccola rondine di Dio”. In quel giorno scesi in giardino di corsa. Mi inginocchiai davanti a un pezzetto di terra e mi bevvi quel terriccio con una fame primordiale. Fu un giorno grande, il giorno della nostra prima resurrezione. Da quel giorno cominciammo a vestirci, a pettinarci, a curare il nostro aspetto, perché fuori c’erano gli uomini. Ma, soprattutto, c’era il sole, questo grande investigatore che vede oltre, oltre anche i nostri corpi. E le nostre anime dovevano per forza diventare belle”

(Da: Alda Merini: L’altra verità -Diario di una diversa
Rizzoli, 2006)


“Ogni mattina il mio stelo vorrebbe levarsi nel vento
soffiato ebrietudine di vita,
ma qualcosa lo tiene a terra,
una lunga pesante catena d’angoscia
che non si dissolve.
Allora mi alzo dal letto
e cerco un riquadro di vento
e trovo uno scacco di sole
entro il quale poggio i piedi nudi.
Di questa grazia segreta
dopo non avrò memoria
perché anche la malattia ha un senso
una dismisura, un passo,
anche la malattia è matrice di vita.
Ecco, sto qui in ginocchio
aspettando che un angelo mi sfiori
leggermente con grazia,
e intanto accarezzo i miei piedi pallidi
con le dita vogliose di amore.”

(Da: Alda Merini – Fiore di poesia, 1951-1997
Einaudi, 1998

Novembre 2009

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